Sono le 3 e 21 del mattino, e di prendere sonno proprio non se ne parla. Non è il caldo, o una maledetta zanzara che ha superato zanzariere, fumo di zampironi e ciabatte volanti per trovare la strada fino in camera tua. Non è nemmeno il gatto in calore che canta i Carmina Burana sul muretto sotto alla tua finestra. Non è nessun altro fattore esterno, che non ti fa chiudere occhio. No-no. È proprio il tuo cervello che gira a mille, e fa più rumore di una Ducati Desmosedici lanciata verso il traguardo sul rettilineo del Mugello. Che diavolo avrà da ronzare ancora, che sono già le 3 passate, e tra una secchiata di minuti mi devo tirare in piedi e andare in ufficio?
Tutti abbiamo vissuto questa scenetta, e poi il resto: ci siamo alzati per bere un po’ d’acqua, a guardare se c’è una mail che ci era scappata, o rivedere per la 746-esima volta quel file dei conteggi, o la presentazione o ... quel che sia. Già, è proprio quel “quel che sia” la causa dell’insonnia, perché è un obiettivo che #perforza #vivoomorto #cascasseilmondo va portato a casa. E bene anche. Se no il capo …
Quindi abbiamo già identificato 2 fattori di definizione degli obiettivi che hanno un bel peso specifico. Li hai intravisti tra le sillabe? Beh, il primo è la tua aspettativa di rendimento (fattore interno) per la quale desideri più di qualsiasi altra cosa al mondo che domani quel file sia giusto, e di non fare una figura da str... come solo tu sai fare, che ti farà perdere il lavoro. Il secondo è la recognition, ovvero il desiderio/necessità che all’esterno ( = il tuo capo) ci sia la percezione del tuo valore/impegno/risultato. Ah, se il capo sei tu, allora l’esterno è la banca, il fisco, i soci, et similia.
Gli obiettivi legati al lavoro quindi sono la risultante di due fattori:
1) Lo svolgimento corretto di mansioni e compiti specifici del ruolo, in base a regole prestabilite e sistemi di valutazione interiorizzati nel percorso di costruzione della professionalità.
2) La recognition, sia che si tratti di un elogio dei superiori (molto, molto, ma moooolto raro), sia che si tratti di denaro, per cui si intende anche la sicurezza di non essere licenziato e continuare a fare affidamento sullo stipendio.
Mettere d’accordo e mantenere in armonia questi due fattori è un lavoraccio, e purtroppo non sempre riesce bene. Ma tranquillo, c’è un aspetto da considerare che può rischiarare l’orizzonte, e cioè che stiamo vivendo un momento storico incredibile, sotto tutti i punti di vista. Una fase di cambiamento trasversale e profondo. Vado sul profetico: niente è, né sarà, come prima. Punto. Anzi, punto a capo.
E quando si va a capo poi, poi si inizia a scrivere una nuova frase che in qualche modo introduce un argomento diverso a quello trattato prima del punto-a-capo. E così è. Anche adesso.
Tanto per incominciare l’87% dei lavoratori adulti si dichiara scontento del proprio lavoro, secondo un sondaggio condotto dalla facoltà di Stanford. Il restante 13% ha mentito, oppure è una rockstar. Nel mio post della scorsa settimana ho riportato un altro sondaggio (leggilo, giusto per prendere bene il polso della situazione-lavoro nel 2021) da cui è emerso che circa il 65% dei lavoratori di Google, Amazon, Apple, Microsoft ed altre major non vorrebbero rinunciare allo #smartworking nemmeno in cambio di 30 mila dollari di aumento. Trentamila. Trenta. Mila. Dollari. Fai tu.
Il cambiamento interessa particolarmente il mondo del lavoro perché è ad esso che è legata la nostra fonte primaria di sostentamento, quindi è logico che ricopra un ruolo chiave nella vita delle persone. Ma non è solo il modo di vivere il lavoro che cambia (e cambierà ancora), cambiano anche i compiti che ciascun ruolo comporta, cambiano le priorità che le persone si danno, cambia l’ambiente in cui si lavora (smart working, video calls, ecc.), cambia la società stessa e le dinamiche che la regolano. Soprattutto stanno cambiando gli obiettivi delle persone e le relative priorità.
Lo scorso giovedì ho partecipato ad una masterclass di Vishen Lakiani (il fondatore di Mindvalley) incentrata sulla scelta e perseguimento degli obiettivi, in cui ha proposto un punto di vista a mio avviso molto interessante riguardo gli obiettivi. Punto di vista che mi ha dato da pensare, moltissimo. E lo condivido. Subito.
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1) Il codice della mente by Vishen Lakiani
2) The Buddha and the Badass by Vishen Lakiani
Occhio, te lo dico proprio che potrei dilungarmi un po’, perché Vishen mi ha shakerato le idee, o meglio mi ha obbligato a fermarmi a riflettere dopo aver aperto una falla nel mio sistema di ragionamento e di definizione degli obiettivi. Tutti gli obiettivi, i miei personali, e quelli che cerco di costruire con i miei clienti.
Giù il gettone, si parte: obiettivi S.M.A.R.T., cioè il pane quotidiano per chi mastica coaching e consulenze, considerati un dogma del processo di goal setting. Una mezza Bibbia, un rifugio sicuro, caldo e confortevole quando non sai bene che cosa vuoi, e allora ti metti giù i passi sicuri per arrivare da qualche parte entro poco tempo, così puoi dirti "bravo". Così li ha descritti, e smontati, Vishen.
Ma come?!? Ma non erano l’unico modo per essere sicuri di raggiungere l’obiettivo? Eh si, ma come si diceva … punto e a capo. Le cose cambiano. Ora non si tratta più di obiettivo S.M.A.R.T., ma di obiettivo R.O.S.E., cioè di Rate Of Self Evolution, ovvero di OBIETTIVO CRESCITA. Occhio quindi, non si tratta più di ragionare in termini di obiettivo raggiunto. Anzi. Senti un po' qui come mi ha shakerato la testa il buon Vishen:
“Secondo lo schema S.M.A.R.T. Goals è difficile fallire un obiettivo, a meno che non manchi l’applicazione o la volontà da parte tua. Ma chi ti dice che fallire l’obiettivo sia sbagliato, deleterio o controproducente? Lo S.M.A.R.T. goal-setting è basato su due pilastri:
1) Achievability, cioè il fatto di centrare l’obiettivo. Il suo contrario è il fallimento.
2) Time, ossia la tempistica entro cui fare centro.
L’obiettivo R.O.S.E. parte da una base diversa, e pone al centro non il raggiungimento dell’obiettivo ma il percorso che devi fare per arrivarci.
Il R.O.S.E. non è un metodo per migliorare nel goal setting, ma è un indicatore, cioè è la risposta alla domanda: quanto stai crescendo?
L’obiettivo non è raggiungere l’obiettivo, ma è crescere nel cercare di perseguirlo. L’obiettivo è la crescita stessa”
Fichissimo, eh?! Miseria! Ma ... adesso come lo spiego a quelli a cui ho fatto una testa così con gli obiettivi SMART che da domani si cambia tutto?
E mentre lo penso, ecco la spiegazione che esce dal sorriso di Vishen sotto forma di nuova sigla-teoria:
M.T.O goal setting theory (Minimum - Targetable - Outrageous)
“Quando imposti il tuo piano di azione considera di inserire sempre tre tipi di obiettivo:
1) “MINIMUM: cioè obiettivi veramente semplici da raggiungere, obiettivi minori che concatenati costituiscono la base per raggiungere un obiettivo più grande. Questo tipo di obiettivo è il vero indicatore del fallimento, un indicatore di un problema serio, che può essere la tua attitudine al goal setting, o la scarsa qualità dell’azione che segue”
Cioè detto in modo più chiaro, se sbagli questi … vai a casa che è meglio. Datti all’ippica, come diceva mio nonno.
“Sono un indicatore di un problema serio, che può essere nella tua capacità di goal setting, o nella qualità dell’azione che segue.” Poi il guru prosegue:
2) “TARGETABLE: fallire un obiettivo fa bene, ti aiuta a migliorare. Mancare il 10-20% dei tuoi obiettivi è accettabile perché significa che hai posto degli obiettivi sufficientemente ambiziosi. Se raggiungi tutti gli obiettivi significa che erano troppo facili, e non sei cresciuto nel tentativo di raggiungerli.”
E ci sta, direi. Poi, l’obiettivo “da spaccone” come lo chiamerei io. Vishen invece lo chiama:
3) "OTRAGEOUS: il 50% dei tuoi obiettivi deve avere il 50% di possibilità di fallire, solo così potrai raggiungere traguardi che contribuiscono a spostare l’asticella sempre più in alto. The 50-50 theory. Questi obiettivi non sono quasi mai legati al tempo, perché un lasso di tempo entro il quale raggiungerli spesso ne decreta il fallimento, proprio quando magari sei ad un passo dalla meta. Lascia che il tempo regoli il passo degli obiettivi SMART, non del tuo ROSE”.
La risposta alla domanda “come lo spiego adesso ai miei clienti” si palesa cristallina in tutta la sua semplicità, quando il video di Vishen si interrompe per pochi secondi per una pubblicità, di un altro corso, di un altro guru. Anzi IL guru: Tony Robbins. Che spacca il video, e la mia faccia, con questa maieutica affermazione:
IT’S NOT ABOUT ACHIEVING THE GOAL, IT’S ABOUT WHO YOU HAVE TO BECOME IN ORDER TO ACHIEVE THE GOAL. THE JUICE IS IN THE GROWTH.
E allora basta, tutto chiaro. Non c’entra niente quanti obiettivi raggiungi, l’obiettivo è diventare la persona che devi diventare per poter arrivare dove vuoi arrivare. L’obiettivo è crescere sempre. Un leader deve tendere al miglioramento perenne, costante e profondo. Non per raggiungere un obiettivo ed assolvere un compito, ma per fare quel viaggio che lo fa essere un leader, cioè uno che "conduce" perché sta davanti nella fila, apre strade nuove, che vede dove e come altri non vedono, che si assume la responsabilità del fallimento, e che lo considera parte del processo.
Ancora più fichissimo. O no?!
Ma … allora la tiritera degli obiettivi SMART? Si butta tutto? Mentre gli "sbarlùsh" e le stelline si diradano davanti ai miei occhi e alla mia bocca ancora spalancata per la rivelazione di Tony, eccone un’altra di bomba maieutica, che arriva come se fosse naturale che due inserimenti pubblicitari in un video completino il contenuto del video stesso.
The time-based targets draw you away from your genius area.
squittisce con l’accento del midwest la voce tipo Paperino di marisa Murgatroyd, che nel trailer promuove il suo corso. Kaboooom !!! Come? Ah, non l’hai còlta?
La genius area è il luogo nella tua mente in cui nascono le idee geniali, innovative, fuori-di-testa, visionarie … da spaccone insomma. Qui si crogiola il leader, che quando è preso da obiettivi legati all’operatività, non può dedicare tempo ed energia alla definizione di obiettivi che lo fanno crescere. Crescere sempre, costantemente, comunque.
Allora tutto chiaro, adesso, no?
Gli obiettivi SMART non sono da buttare nel cesso, ma servono per stabilire gli obiettivi minori, i MINIMUM di cui sopra, per i quali questo schema è più indicato!
Pensandoli in un'ottica-azienda, chi svolge compiti operativi è più tutelato dall’impostazione SMART, mentre la leadership rende meglio nella genius area del ROSE, dove vincoli e tempo non devono farla da padrone. Un leader - per predisposizione mentale - è più incline ad accettare il fallimento, e lo vede più facilmente di altri come parte del percorso. Allora dai, chiudiamola con uno slogan e andiamo a farci una birretta, ché è già venerdì sera e ce la meritiamo!
Go ROSE, be a SMART leader
Ah, dimenticavo … condividi, commenta e dimmi se l’avevi già sentita questa storia del R.O.S.E., magari nascosta sotto un’altra sigla o teoria.
Link Amazon Books per approfondire:
1) Il codice della mente by Vishen Lakiani
2) The Buddha and the Badass by Vishen Lakiani
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A presto,
Dennis
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