Creare un ambiente di lavoro produttivo, dinamico e stimolante in 5 mosse. Rigenerare l’azienda senza rivoluzioni, investimenti pesanti o business plan troppo complessi.
Rigenerare un #team demotivato e stressato è un obiettivo ambizioso e una necessità che molte aziende si trovano ad affrontare, specialmente di questi tempi. Ci sono modi e mezzi diversi per ottenere risultati, ma top-managers, strumenti di analisi, sistemi di controllo, procedure, investimenti, software o altre soluzioni servono a poco se le persone non vibrano alla giusta frequenza, e per questo le aziende che raccolgono i successi più eclatanti sono quelle che (ri)partono dalle persone.
Tutto dipende dalle persone, da tutte le persone che contribuiscono al funzionamento e alla gestione dell’azienda. Un nemico acerrimo delle persone, e quindi anche dell'azienda, è il #burnout, e quasi il 35% dei lavoratori ne è vittima. Da motociclista mi viene subito da associare la il burnout a quel giochetto che si fa a moto ferma tenendo pinzato il freno anteriore, dando gas a manetta per far girare la ruota posteriore al massimo della velocità in modo che slitti sull’asfalto finché il copertone inizia a fumare per l'attrito, consumandosi velocemente fino a bruciare in una nuvola di fumo. Con il termine burnout in ambito psicologico si indica una condizione di forte stress derivante dalle condizioni lavorative, che determina un logorio emotivo e psicofisico foriero di amenità come demotivazione, ansia, diminuzione della capacità di concentrazione, disgusto per il lavoro e per i doveri, con ripercussioni sulla sfera lavorativa, personale e sociale dell’individuo. La sindrome del burnout letteralmente consuma le persone fino a farle scoppiare e andare in pezzi, proprio come il povero copertone, e viene associata a condizioni stressanti ben note a chi occupa posizioni di responsabilità. Un dipendente in burnout non rende un terzo di quello che potrebbe e, peggio ancora, diventa un negativo-contagioso che affossa il morale del gruppo e crea un clima ostile alla crescita e alla proattività. Non mi vergogno ad ammettere che ci sono passato, e sono pure stato recidivo! Quando sei in burnout ti senti come il cavallo di Atreyu del libro La Storia Infinita, che rassegnato si lascia sprofondare lentamente nella melma delle sabbie mobili fino a farsi inghiottire e sparire. Questo fenomeno è ben più diffuso di quanto si pensi, anche perché è spesso associato ad un "semplice" stress. Il mondo del lavoro in questo momento storico è più complicato che mai, molte aziende si trovano in ginocchio, tutto sembra impossibile o inutile e il destino sembra scritto, ma esiste un modo alla portata di tutte le tasche per invertire la rotta e uscire dal burnout in cui leader, dipendenti e proprietà spesso si trovano. Se le persone sono scoppiate o hanno le gomme a terra bisogna rimetterle in condizioni di girare di nuovo, e con un po’ di voglia di cambiare e un soffio di positività si alimenta la convinzione di poterlo fare.
E si fa, in 10 passi.
Il primo passo non ti porta dove vuoi arrivare, ma ti toglie da dove sei. (A. Jodorowsky)
1) MOTIVAZIONE: per introdurre il concetto di #motivazione mi faccio aiutare da Nietsche, e fanno due citazioni in tre righe: “Chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come”. Motivazione al primo posto quindi, senza dubbio. Secondo me è il passo più importante da cui partire, perché non solo ti consente di iniziare a muoverti, ma è anche ciò che sostiene il moto una volta partito/a. Senza una motivazione forte il cambiamento fa paura, e l’impegno viene meno perché perseverare costa fatica e sacrificio, quindi la motivazione è IL fattore decisivo per potare a termine gli obiettivi individuali e aziendali. Il compito della leadership è creare le condizioni per cui ogni dipendente si senta nel posto giusto, fornendo gli strumenti adatti a valorizzare le sue competenze e le sue soft-skills. Non c'è due senza tre, questa volta cito una frase potentissima che il mio capo era solito ripetere: “I soldati non vanno a morire in guerra per soldi, ci vanno per un ideale”. L'ideale è motivazione distillata, e sconfigge addirittura la paura della morte e l'orrore della guerra. Se ha questo potere mi viene da pensare che si debba proprio trovare un ideale se l'obiettivo è uscire dalla crisi, anzi solo con una motivazione puoi muovere il fatidico primo passo per toglierti da dove sei.
2) LEADERSHIP la differenza tra boss e leader ormai è storia arcinota, e la conoscenza dovrebbe prevenire scelte poco sagge. Tradotto: chi occupa una posizione di comando dovrebbe aspirare ad essere un #leader per tutte quelle ragioni che lo rendono più efficiente, performante e soddisfatto. Dovrebbe ... ma a quanto pare non è così, infatti il 68% dei lavoratori italiani è scontento del proprio lavoro (secondo uno studio commissionato dalla Sodexo). Trovo terrificante che 7 persone su 10 si alzino la mattina senza voglia o prospettiva, e vadano a letto la sera con l’amaro in bocca o il bruciore di stomaco, perché questa fotografia del mondo del lavoro è una ghigliottina che potrebbe definitivamente mozzare il collo all’economia italiana, da un giorno all’altro. L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro, dice la Costituzione, ma se i lavoratori sono in crisi non producono come potrebbero, il che è un bel colpo assestato alle fondamenta dell'economia. Una delle ragioni per cui i dipendenti scapperebbero dal posto di lavoro è la relazione con il capo, sempre a quanto emerso dallo studio statistico. Questo argomento meriterebbe un libro dedicato, te lo risparmio (per ora) ma certo non nuoce ricordare hic et nunc quale sia la strada giusta per chi vuole essere un leader e avere dipendenti soddisfatti, partecipi ma soprattutto produttivi. Potrei citare molte fonti ma ho già citato a sufficienza, e poi in rete si possono trovare decine di infografiche sull’argomento #BossvsLeader, quindi ti invito a cercarle e riflettere. Comunque la summa della dicotomia boss/leader secondo me è questa: il Boss dice “IO” mentre il leader dice “NOI”. In queste poche parole è racchiuso il segreto e l’essenza di chi condivide i suoi obiettivi per raggiungerli, stimola la collaborazione, apprezza le differenze, dà fiducia, ispira la visione, promuove il pensiero critico, guida le scelte, accoglie, rispetta, crea coesione, sviluppa il potenziale, chiede e ascolta, insegna ciò che sa e - senza vergognarsi - impara ciò che ignora. L’immagine che mi viene in mente ricorda la figura dell’uomo saggio, capace, severo (solo quando serve) e paziente che mio nonno mi ha descritto mille volte nei suoi racconti di "quando andavo a bottega per imparare il mestiere”. Le imprese italiane hanno segnato un’epoca e sono diventate un’icona per la qualità del lavoro, inteso come prodotto e come sistema di lavoro, per il quale il know-how e quel segreto che si chiama #Madeinitaly veniva trasmesso da uomini-leader per diventare #culturadellavoro. Quando torneranno ad esserci più leader che boss, torneremo a chiamarci il Bel Paese.
3) OBIETTIVI chiari e condivisi: ogni dipendente ha un ruolo e delle mansioni, e risulta tanto più produttivo quanto più si sente parte integrante della realtà imprenditoriale, del sistema, del progetto, condividendo gli obiettivi e la finalità ultima. Cioè: se io dipendente so cosa vuoi da me e mi dici dove vuoi andare, posso adeguarmi e lavorare per lo stesso tuo obiettivo, perché alla fine è anche il mio. In questa cornice si inseriscono la missione, la visione e i valori aziendali che, quando sono chiari e condivisi, costituiscono il primo importante #obiettivo raggiunto. La condivisione degli obiettivi alimenta una produttività costante e crescente, e il carburante in questo caso è vedere riconosciuti gli sforzi, fatto che genera positività e crea quella sana imprescindibile "dipendenza" dal successo che fa scalare le montagne. Un obiettivo alla tua portata non spaventa e raggiungerlo ti incoraggia a dare di più per raggiungerne altri, specialmente se sai che il #riconoscimento arriva puntuale. Tanti piccoli obiettivi facili da raggiungere costituiscono un obiettivo di maggiore importanza, e ripetendo lo schema si può centrare più facilmente un macro-obiettivo agendo in mark-down, cioè scomponendolo in tanti obiettivi raggiungibili legati ad altrettanti riconoscimenti. Comunicando gli obiettivi in modo chiaro e sistematico la leadership si assicura un contributo efficace da tutti i dipendenti. Riguardo al riconoscimento ti ricordo che il soldato va in guerra per un ideale, non per denaro. Premiare i dipendenti con un riconoscimento simbolico ha effetti uguali o superiori al riconoscimento in denaro, e aiuta a dare un segnale positivo anche in caso di ristrettezze economiche. Basta pensare ai premi per le manifestazioni sportive: un atleta che riceve una medaglia d'oro riceve un premio simbolico che lo ripaga di tutti gli sforzi l'impegno e la dedizione di una vita, e non è il valore della medaglia che gli interessa perché non pensa certo di venderla in cambio di denaro. La medaglia è il riconoscimento per aver fatto il suo lavoro nel modo migliore, e questo ha più valore del soldo. E se l'atleta gioca in una squadra? Il prossimo punto tratta proprio questo tema: riconoscimento e partecipazione.
4) PARTECIPAZIONE: Interiorizzare i valori dell’azienda, farli propri e comportarsi di conseguenza diventa automatico se il singolo è inserito in un contesto a cui sente di appartenere. Soltanto credendo fortemente in un obiettivo potrai raggiungerlo ma, siccome non è mai facile, in questa fase è molto importante il riconoscimento di risultati da parte della leadership. Cosa voglio intendere? Che un dipendente rende meglio se si sente “vicino” alla leadership pur restando consapevole del proprio ruolo, mansione e posizione gerarchica. Secondo il modello partecipativo, tutti dovrebbero correre nella stessa direzione per aumentare la produttività aziendale. Gli stessi dipendenti devono incoraggiare ed istruire i colleghi meno produttivi, meno esperti, o meno inclini a fare squadra. Come? Attraverso la #partecipazione anche ai successi degli altri, così il successo di ciascuno diventa il successo di tutti e l’intera organizzazione ne trae sostentamento e forza. Chi lavora per un marchio-icona si sente onorato e felice di partecipare e di essere associato al blasone che il marchio porta. Per esempio, lavorare per la Ferrari, Apple, Armani, o la NASA fa tanto figo, ammettiamolo, ti gonfi di orgoglio anche solo a pensarti lì, perché un pezzettino di quel luccicante, inarrivabile, invidiato e desiderato #brand lo hai fatto tu. Un po' è merito tuo, ti appartiene, poiché anche tu hai contribuito modo tuo. La tifoseria sportiva, i partiti politici, i movimenti per i diritti, l'orgoglio nazionale, il campanilismo, sono tutte espressioni della potenza del concetto di partecipazione. Un concetto atavico che affonda le radici nel DNA della specie umana e della sua supremazia sulle altre specie, che è dentro di noi dagli albori del tempo quando per difenderci e procacciare il cibo ci siamo uniti in piccole comunità per aumentare le probabilità di successo, dividendo i compiti e distribuendo il carico di fatica. La #CTA per la leadership delle piccole imprese è proprio creare partecipazione come fanno i big brand.
5) GAMIFICATION: Essere ricompensati economicamente è anche e soprattutto fonte di gratificazione emotiva, è un mezzo per indicare il rispetto, riconoscimento, status e genera un senso di appartenenza all’azienda e un legame più saldo con gli obiettivi aziendali. Stabilire un percorso di carriera basato su risultati qualitativi ed economici è un modo per far crescere i talenti in seno all’azienda, di legarli agli obiettivi e privare la concorrenza di una figura professionale valida che può essere sottratta con poche centinaia di euro in più in busta paga. L’incentivo certo e raggiungibile sta alla base delle aziende sane ed innovative che sempre più spesso eleggono la #gamification come strumento principe per la fidelizzazione dei dipendenti e dei clienti. Due parole sulla gamification, a cui voglio però dedicare presto un post tutto suo. Con il termine gamification si intende l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e delle tecniche di game-design per coinvolgere le persone e car loro provare divertimento nelle attività quotidiane o lavorative. In ambito business è efficace per acquisire o fidelizzare la clientela, risolvere conflittualità, per attività di team-building, per aumentare la produttività attraverso la finzione ludica e una competizione sana. Nei videogame per esempio il livello sale di difficoltà aumentando del 25% circa ad ogni livello superato, e ogni livello è composto da sotto-livelli con difficoltà crescente del 5-10% per consentire al giocatore di impegnarsi, apprendere come superare l'ostacolo con un un certo sforzo ma senza scoraggiarsi, sapendo che appena superata la prova lo schermo esploderà di colori, stelle e suoni per celebrare la vittoria, e i suoi poteri aumenteranno quel tanto che basta per poter affrontare sfide più difficili e stimolanti nel livello successivo. Con questo schema è più facile ottenere la crescita del personale in relazione alla crescita della performance e della capacità di problem-solving. Dare una connotazione ludica ad alcuni aspetti del lavoro aiuta a sdrammatizzare e a spostare il focus da situazioni stressanti o emotivamente coinvolgenti, se poi si aggiunge un fattore di team-gaming i benefici per l'azienda aumentano considerevolmente, perché oltre a coinvolgere più individui contemporaneamente si possono fissare obiettivi che i singoli non potrebbero raggiungere con le loro forze, coinvolgendo più persone nel flusso si distribuisce il beneficio a più individui contemporaneamente cementando il senso di appartenenza tramite la partecipazione.
La gamification quindi permette di mettere in pratica tutti i principi dei 4 punti precedenti: #team | #motivazione | #obiettivicondivisi | #partecipazione | #noi | #riconoscimento | #leadership | #culturadellavoro
Per oggi è tutto, a breve la seconda parte della formula per superare la crisi, se il post ti è piaciuto condividilo sui tuoi social, o lasciami un un commento. A presto!
Dennis
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