Come faccio a esportare? A chi mi rivolgo per i contatti commerciali? Come faccio ad affrontare la questione logistica? E il processo di certificazione? Quanto mi costa un ufficio-export? E come faccio con la lingua?
Si può iniziare ad esportare senza stravolgere l’azienda, senza investire milioni e senza aspettare 100 anni prima di iniziare a guadagnare?
La risposta è: SI, si può fare. E te lo dico così, secco. Perché qui gioco in casa, l'export è il mio pane da oltre 20 anni. Quindi si. Si fa abbastanza facilmente, ma è necessario predisporre un piano d’azione per affrontare questo passo in modo smart (meglio se S.M.A.R.T.), per non vanificare l’investimento di tempo, energia e denaro che, per quanto contenuto, sarà sempre da mettere in conto. Nulla è impossibile, basta muoversi con i tempi giusti e nella giusta direzione, come per tutte le cose, con calma. Nel tuo start-kit ci devi mettere molto impegno, poche idee (ma ben chiare), e una giusta dose di perseveranza per costruire una rete che supporterà l’espansione del tuo brand nei mercati esteri.
In questo articolo trovi i 7 punti su cui concentrarti per costruire la tua strategia vincente ed entrare nel mercato estero dalla porta principale. Come per ogni progetto anche per l'export non esiste una ricetta universale, ma bisogna creare la sequenza analisi-panificazione-azione, che sia funzionale alle esigenze e alle caratteristiche del tuo brand.
Sei ancora qui? Curioso?
Allora giù il gettone, si parte!
E si parte dai fondamentali, che sono 7 come i mitici samurai.
PRODOTTO
Il primo punto è il prodotto, ovviamente. Perché senza un (bel) prodotto è meglio se all'estero ci vai in vacanza, non per fare business. Il termine prodotto - come da definizione di Wikipedia - corrisponde a un “insieme di attributi tangibili e intangibili di un bene o un servizio volti a procurare un beneficio a un utilizzatore”. Puoi identificare già nella definizione stessa alcuni aspetti che dovrai considerare prima ancora di dire "export":
a) Attributi tangibili: sono gli aspetti tecnici e qualitativi del tuo prodotto ad esempio se il tuo è prodotto alimentare, tessile, elettronico, farmaceutico, ecc., come è il ciclo produttivo, che caratteristiche ha, ecc. Come già ben sai, ciascuna classificazione comporta l’adeguamento a tecniche produttive specifiche, ad una normativa o un disciplinare, logiche di distribuzione, ecc. Vale per l'Italia come per l’estero, ogni mercato a cui vorrai rivolgere l’attenzione ha le sue caratteristiche ed esigenze, a cui sarà necessario adeguarsi per potervi entrare e, soprattutto, per restarci abbastanza da mettere radici e crescere.
b) Attributi intangibili: il prezzo di vendita al pubblico e quello di acquisto per i vari livelli della rete vendita, cioè: ma quanto costa? Quanto costa in relazione alla concorrenza? Come si posiziona nel settore di riferimento? Chi lo compera in Italia? Perché? Chi lo comprerebbe all'estero? Perché? Ma prima di ogni altra domanda, LA domanda: Quale problema risolve o quale esigenza soddisfa?
Raccogliendo i dati e inserendoli in un quadro analitico puoi ottenere una fotografia del tuo prodotto, che ti servirà per fare valutazioni e impostare ragionamenti di altra natura. Non si risolve tutto qui, purtroppo, esistono tanti altri aspetti che caratterizzano il prodotto e da cui non si può prescindere, come il ciclo produttivo, la tecnica di produzione, i disciplinari, le certificazioni ecc., ma li vedremo a tempo debito, per ora: Consiglio: per delineare il tuo piano-export trova prima il tuo "avatar", cioè il cliente ideale a cui rivolgerti, e poi concentrati su quello che fa la concorrenza nel mercato in cui vuoi entrare per arrivare a lui e tenerselo stretto.
BRAND
Non basterebbe una biblioteca zeppa di libri per trattare l’argomento in modo esaustivo, figurati se si può fare con un post e in poche righe. Ma io ci provo lo stesso, a costo di tirarmi addosso gli improperi dei markettari professionisti. Il brand in fondo è quello che il tuo prodotto rappresenta, quello che vuoi che i clienti vedano e acquistino, oltre alla materia dell’oggetto, o al beneficio del servizio. Quindi un mix di: qualità del prodotto. dell’immagine che lo contraddistingue dagli altri, l’immagine che l’azienda vuole far percepire, Mission, Vision e Valori. Cioè?
Un brand è “centrato” quando i valori aziendali, l’immagine e il valore attribuito al prodotto corrispondono a quello che il mercato percepisce, accetta e riconosce.
Ritornerò sull’argomento ma ora Consiglio: la gente non compra un prodotto (c'è già tutto nel mercato, anche quello che fai tu), la gente compra le storie che stanno dietro al prodotto, e vuole la sua customer experience. Scrivere Made in Italy sul packaging non fa più l'effetto di qualche anno (decennio) fa, piuttosto racconta delle storie vere al tuo avatar, storie di gente, di fallimenti, di rinascita, di impegno, di sapienza, di valori, di resilienza, di apertura, famiglia e fratellanza. E dagliela un po' di fratellanza! Crea una community, dove i clienti si possano virtualmente incontrare e in cui identificarsi. Da loro avrai in cambio le informazioni che ti servono per migliorare il tuo prodotto dove serve, per non perderli e per attrarne di nuovi. Vuoi un brand con una immagine appetibile? Ascolta un cretino che ha consumato un bel po' di suole in giro per i 4 continenti (mi manca solo l'Australia) con listino e catalogo sotto braccio:
Racconta chi sei e perché lo fai, e chi è come te ti seguirà, degli altri non hai bisogno. Almeno all'inizio.
MERCATO
Come si può descrivere il mercato? È semplicemente il “posto” dove vendere il tuo prodotto, ed è una alchimia di aspetti “fisici” e “metafisici”.
Il mercato fisico è composto dalla rete dei punti vendita e dalle dinamiche derivanti dalla geografia della città, zona, economia ecc. In soldoni, in quali negozi è – o sarà - disponibile (monomarca, multimarca, flagship stores, department-stores, catene, outlet, online, ecc.) e in quali città? in quali zone della città? Il territorio è adeguatamente coperto?
Il mercato metafisico è dato dalla tipologia del cliente (età, genere, status sociale, capacità d’acquisto) ma anche dall’immagine, dai concorrenti e dal loro posizionamento, dalle nicchie del mercato fisico, da regole e dinamiche della distribuzione, procedure doganali, disciplinari, distribuzione ecc.
Insomma, è un argomento complesso (gli altri no?), ma in breve più conosci il mercato più eviti errori e sprechi = guadagni da subito e di più. Consiglio: trova un commerciale che conosca il mercato a cui affidare lo sviluppo dell’area, meglio se ha già una struttura collaudata e inserita nel tessuto, ancora meglio se è un resident. Può costare un po’ di più ma, credimi, è tutto guadagno alla fine perché elimini i costi di viaggio, frammentazione del rapporto con i clienti, percezione distorta del mercato, problemi di comunicazione dovuti alle differenze culturali e linguistiche, ecc.
RETE
La rete è un intreccio di fili che insieme creano una struttura con caratteristiche e funzioni diverse rispetto a quelle dei fili che la compongono. Allo stesso modo la rete commerciale è il team gestito dal responsabile commerciale e composto da funzionari, agenti, distributori, dealers, servizio di assistenza, backoffice, logistica e io ci metto anche l’ufficio marketing. Si lo so, qualcuno storcerà il naso e penserà che ho messo troppa carne al fuoco e che la rete non deve includere tutta questa gente … affari suoi! Le reti migliori che ho gestito sono proprio quelle allargate, cioè in cui tutti i player sono annodati insieme, si confrontano e comunicano per arrivare al risultato comune: far "girare" il prodotto al massimo.
La rete per antonomasia è quella da pesca: più grande è, più pesci ci entrano. Sei d'accordo? Consiglio: lascia stare amo, galleggiante, esche, pastura per pescare a canna e concentrati invece sulla tua rete. Da subito. Cura la tua rete, con la stessa attenzione di un pescatore, perché se la costruisci con l’obiettivo di avere un gruppo coeso, forte e flessibile sarà poi la rete stessa a catturare il pesce per te. Tanto pesce, pesci grandi e piccoli, da frittura nel cartoccio e da ristorante stellato, mentre tu sorseggi una birretta tenendo il timone della barca per darle la rotta desiderata. A parte le metafore e la voglia di aperitivo (è venerdì ...), una rete strutturata e ben organizzata ti solleva dall’onere dell’operatività e del controllo eccessivo, con il vantaggio di poterti dedicare ad altre priorità, e quello di imparare subito come replicare il tuo modello-rete in altri mercati, per svilupparli con minore impiego di tempo e di energie.
OBIETTIVI
Dicevamo, aperitivo? Ah si, anzi no! Era timone, direzione, rotta ... Gli obiettivi, ecco! Senza una rotta la barca va alla deriva, e senza obiettivi anche la rete commerciale si perde, mentre l’azienda perde fatturato e profitto, e il brand perde di forza. Ci sono diversi obiettivi che non si devono trascurare ma prima di vederli nel dettaglio … Consiglio: gli obiettivi devono, e ripeto: DEVONO assolutamente essere chiari per tutti, condivisi e misurabili perché la rotta sia rispettata. Immagina un nostromo che invece di usare il sestante e le carte nautiche navighi a vista, e che passi il tempo in cambusa, o su un’altra barca. La sua barca dove va quando la costa non si vede più? Appunto. Senza entrare troppo nel dettaglio, nella mia personale esperienza ho sempre dato la priorità a questi pochi obiettivi per impostare la rotta di un mercato da sviluppare:
Volume di vendita: più vendi più guadagni. Semplice, no? Non sempre. La regola vale specialmente all’inizio quando non devi ancora fare i conti con la saturazione e lo stock dei tuoi clienti. Consiglio: all’inizio incentiva gli ordini dei prodotti best seller del tuo brand, così darai alla rete la possibilità di vendere un prodotto più "facile" e con una marginalità più alta. Inoltre spingere da subito i best-seller ti aiuta a dare fastidio ai tuoi concorrenti, erodendo le loro quote di mercato, dando qualche bella spallata per prenderti più spazio (che giova anche al brand awareness).
Marginalità: inutile vendere grandi quantità se il guadagno è basso. Passata la fase di apertura del mercato a volte è meglio vendere meno e guadagnare di più. Consiglio: tenere alta la marginalità per avere possibilità di investire nello sviluppo della rete. Volumi e marginalità vanno gestiti come la sciabola e il fioretto, vanno bene entrambi ma si usano a seconda dei casi e non vanno lasciati al caso. Mai. L’abilità sta proprio nell’equilibrata gestione dei due strumenti per raggiungere sia l'obiettivo di fatturato che di margine.
Posizionamento: l’immagine percepita è la chiave per spingere un brand in un mercato nuovo, da consolidare o da ristrutturare. Se il prodotto è visibile da subito nelle vetrine giuste è più facile espandere la presenza nel mercato senza dover rinunciare a marginalità o alla qualità del posizionamento. Ad esempio, se nella tua città c’è un negozio di abbigliamento che tratta marchi “luxury” e nella sua vetrina vedi un marchio sconosciuto, automaticamente penserai che quello sia un marchio di lusso, e che se è in quella vetrina un motivo ci sarà. Non lo hai mai visto, ma nella tua testa è già un marchio figo. Un retailer ben posizionato posiziona il marchio per te, quindi: Consiglio: investi sul posizionamento senza lesinare, soprattutto all’inizio.
Penetrazione: va bene il posizionamento, ma anche la diffusione del prodotto non è da tralasciare. Più è visibile (senza penalizzare rete e immagine) e più sale la possibilità di vendita, quindi il fatturato, quindi il profitto. Chiaro e semplice. Consiglio: all’inizio dell’espansione in un mercato nuovo privilegia la diffusione strategica piuttosto che la diffusione a tappeto, per questa ci sarà tempo e occasione, (magari creando una linea o un brand appositamente per coprire il territorio in modo capillare senza penalizzare il brand che vuoi usare per aprire il mercato). In soldoni, è meglio avere un dealer in ogni città/zona strategica che catalizzi i consumatori e che si possa fidelizzare, invece che avere molti dealer che non spingono il prodotto e con cui non hai relazione. L'official dealer catalizza il traffico generato dalla tua comunicazione e comunica il tuo brand. Contento lui, e contento anche tu.
COMUNICAZIONE
Un altro argomento infinito. Per trattarlo in modo efficace e completo non basta la biblioteca di prima, e anche se mi piacerebbe dilungarmi sull’argomento (è il mio preferito, non c’è gara) salto subito al Consiglio: per trasferire valori, mission, vision e brand identity a uno straniero bisogna parlare un linguaggio efficace, quindi se hai deciso di impostare la tua comunicazione per l’estero in inglese va fatta in inglese VERO, non in “Italiese”. Pensa a quando sei all'estero, vai al ristorante e leggi sul menu parole italiane storpiate o usate a ... muzzo, cosa pensi? Ho reso l'idea? Usare bene la lingua del mercato serve a posizionarti al livello massimo possibile della piramide, e se la comunicazione è fallace in termini di grammatica e ortografia il tuo copy risulta dannoso, invece di essere un volano per il brand. Quindi fai correggere i testi da un “local” per evitare figure meschine e anche per coinvolgere la rete nel progetto di brand establishment. Non solo grammatica e ortografia, ma anche la scelta delle parole fa la differenza tra un messaggio che si perde e uno che arriva al cuore, e un madrelingua lo può fare meglio di uno straniero. Sistemata la questione-lingua occhio anche e soprattutto alle sfumature, cioè cultura, politica, religione, usanze, gusti, abitudini ecc. Un esempio? Un brand per cui ero responsabile dei mercati Africa-Medio Oriente-Asia aveva impostato la campagna di lancio di una nuova linea sul concetto di Made-in-Milan, e l'immagine istituzionale coordinata (web, listini, cataloghi, shoppers, banners, vetrofanie, tutto) verteva su una foto del del duomo di Milano come background dei prodotti. Nei mercati da me gestiti utilizzare l’immagine di una chiesa cristiana era in contrasto con la dottrina musulmana, quindi la campagna di lancio ha fatto ... fiasco, per non essere volgare. Come se non bastasse, il feedback del network "cambiate la foto" fu respinto, creando malcontento e dinamiche conflittuali di natura culturale e religiosa, facilmente evitabili con un piccolo accorgimento in termini di comunicazione. Conclusione: milioni di euro di fatturato andati in fumo, e rapporto di fiducia incrinato con la metà dei miei clienti musulmani.
LOGISTICA
Vendere, vendere, vendere! Signorsì-sissignore, ma poi il prodotto come arriva nel mercato? Quando? In che modo? Quanto costa farlo arrivare? Quanto incide sulla marginalità? Chi coordina la logistica? Chi è il responsabile? Hai una strategia? E un obiettivo, ce l'hai? No? Bravo! Un bel casino la logistica. E facciamo un po’ di ordine allora, partendo dall’analisi come sempre.
Logistica interna: hai dei fornitori esterni o produci tutto in casa? Il tuo backoffice come gestisce l’outsourcing e il ciclo produttivo? Dove sono le falle? Quanti passaggi ci sono prima che il prodotto arrivi in mano al consumatore finale? La spedizione verso l’estero come è gestita? Chi si occupa di documentazione doganale? Hai un programma di formazione/aggiornamento sulle normative doganali? Troppe domande? Ne avrei altre mille, mandami a quel paese se vuoi, ma dietro a un prodotto c’è un universo che pulsa e lavora, e non puoi permetterti che tutto il castello di carte che tieni in magico equilibrio crolli prima di mettere il tuo prodotto in mano al cliente finale. Si tratta dell’ultimo passaggio, ma non è certo l'ultimo per importanza.
Logistica esterna: cioè appena il prodotto è un metro fuori dal parcheggio del tuo magazzino. Valgono le stesse chiavi di lettura del passaggio precedente, cioè fatti mille domande e informati bene perché se il prodotto arriva rotto, in ritardo, se costa tempo per rintracciarlo, se non è chiaro di chi sia la responsabilità di ogni passaggio, se non fila tutto dritto come un missile, allora sei già in perdita. Non si tratta solo di soldi, ma anche di immagine e di fiducia della rete. Meno intoppi e zone d’ombre ci sono, meglio gira la macchina e più vendi.
N.d.R.: nel calderone della logistica io ho sempre messo anche il servizio ricambi/post vendita e il backoffice (sia il mio che quello del cliente), e non mi vergogno a dire che gestire bene la logistica è una delle sfide più dure e scoraggianti che io abbia mai affrontato. A volte ne sono uscito con le ossa rotte, ma si impara più dalle sconfitte che dai successi. Dicono. Consiglio: investi tempo ed energie per la formazione del personale, concorda una strategia con i partner commerciali, e affidati a partner esterni per pianificare e gestire al meglio questo aspetto dell’export perché se parti con il piede giusto (= strategia + obiettivi chiari), così eviti un sacco di problematiche, perdite di fatturato e di marginalità.
Gestire un’emergenza assorbe molte più energie di una procedura, e non sempre si trova una soluzione in tempo utile.
Sei arrivato in fondo, bravo! Stanco? Ti capisco ... sembra un bel ginepraio ma stai tranquillo perché si impara a fare tutto, e la maggior parte delle aziende che si affidano ad un coach o ad un consulente per l'export ottengono risultati concreti e pianificabili in tempi ragionevolmente brevi. Allora se hai bisogno di una mano, o se vuoi farti solo una chiacchierata sai dove trovarmi
Se ti è piaciuto il post ti potrebbe interessare anche il segreto del made in italy o qualche dritta su come gestire al meglio una trattativa o su come trasformare un cliente in un collaboratore
A presto!
Dennis
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